La malattia di Crohn, anche conosciuta come morbo di Crohn, è una malattia che vede un aumento dei casi ma anche un forte sviluppo delle terapie disponibili. Per una panoramica sulla malattia e sulle terapie in corso di studio abbiamo raggiunto il prof. Flavio Caprioli, Professore Associato presso il Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti dell’Università degli Studi di Milano, Fondazione IRCSS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
Prof. Caprioli, è vero che ci troviamo di fronte ad un aumento dei casi della malattia di Crohn?
È una domanda che ha due risposte. Da una parte noi stiamo osservando un aumento dell’incidenza, ossia di nuovi casi per anno, sopratutto nella malattia di Crohn pediatrica, dall’altra stiamo osservando un importante aumento della prevalenza, cioè un aumento del numero di casi trattati per anno. Questo chiaramente accade poiché con un’incidenza elevata, ed essendo fortunatamente una malattia che non porta a morte, la prevalenza è progressivamente in accumulo.
Questo aumento di nuovi casi per anno può essere legato agli avanzamenti, anche tecnologici, delle capacità di diagnosi?
Può essere anche quello ma in misura limitata, diciamo intorno al 20% dei casi totali. In realtà quello che stiamo osservando è un aumento reale dell’incidenza.
È possibile formulare delle ipotesi sulle cause di questo aumento?
È un tema ovviamente oggetto di studio. Sicuramente è riferibile ad un elemento esterno e si pensa alla modificazione del microbioma, della flora batterica intestinale. Sono tre gli elementi su cui ci si sta principalmente concentrando:
- dieta non regolata
- eccessiva esposizione ad antibiotici
- assunzione di edulcoranti o additivi alimentari
Una flora batteria alterata può predisporre alla comparsa della malattia, in particolare in una persona geneticamente predisposta.
C’è quindi una predisposizione genetica?
C’è un’importante predisposizione genetica che aumenta del 20-30% la probabilità di ammalarsi, non è però una malattia la cui comparsa è strettamente legata ad una mutazione.
La malattia oggi come viene curata?
Le terapie per la malattia di Crohn sono in continua evoluzione. Oggi sta sta osservando una sempre minore tendenza all’utilizzo di farmaci cortisonici o di immunosoppressori tradizionali, come il metotrexate ad esempio, che vengono ormai utilizzati in una minima quota di pazienti. Con l’avvento dei biosimilari e l’importantissimo abbattimento dei prezzi che abbiamo osservato negli ultimi anni, nella maggior parte dei casi il paziente viene avviato molto precocemente ad una terapia con un farmaco biologico biosimilare anti-TNF (infliximab o adalimumab i più utilizzati in prima linea). C’è però una parte di pazienti che non può effettuare questo tipo di terapia per controindicazioni legate a diversi fattori quali età, cardiopatie, presenza di neoplasie o altre malattie. In questi casi vengono utilizzati altri farmaci, sempre biologici ma non anti-TNF, come il vedolizumab e l’ustekinumab.
Questi due farmaci vengono spesso utilizzati anche come trattamento di seconda linea nel caso in cui il paziente non risponda, o perda la risposta, alla terapia di prima linea.
I risultati di queste terapie sono soddisfacenti?
Quelli nominati sono farmaci che hanno una buona efficacia sia in prima che in seconda linea ma che lasciano ancora uno spazio di miglioramento terapeutico in circa un 30% di pazienti che a volte viene colmato dall’intervento chirurgico, che va sempre comunque considerato tra le opzioni terapeutiche.
La ricerca attualmente su che cosa si sta orientando?
La ricerca sulla malattia di Crohn si sta orientando molto verso due classi di farmaci, una dei quali è sostanzialmente l’evoluzione dell’ustekinumab e sono una serie di anticorpi selettivi verso il blocco dell’Interleuchina 23 (IL23) come il r. Inoltre ci sono dati recentissimi che dimostrano come questi pazienti rispondano bene all’utilizzo di un inibitore di JAK1, l’upadacitinib.
La ricerca clinica sta già valutando questi farmaci?
Si, certo. Inoltre abbiamo, finalmente direi, anche nella malattia di Crohn degli studi di confronto in cui questi nuovi farmaci anti-IL23 sono in sperimentazione clinica tutti in comparazione con il diretto competitore ustekinumab. Attendiamo a breve i risultati per questi studi.
Qui gli studi clinici al momento attivi in Italia e che accettano pazienti