• La sperimentazione clinica è un elemento fondamentale per accertare l’efficacia, la tollerabilità o la sicurezza di un trattamento farmacologico sull’uomo. L’iter per concretizzarla in modo etico e garantendo rischi minimi ai pazienti, come previsto dalla normativa, è lungo e molto costoso. Con gli esperti approfondiremo lo stato dell’arte e le prospettive: a che punto è la sperimentazione clinica nel nostro Paese? Quali vantaggi per le strutture e i pazienti? Come è cambiata con la pandemia? Quali novità porterà l’attuazione del Regolamento UE 536/2014, attesa per inizio 2022?

    Ne parleranno:

    • Elena OttavianelliElena Ottavianelli
      Direttore scientifico, Associazione Italiana Contract Research Organization (AICRO)
    • Andrea MarinozziAndrea Marinozzi
      Dirigente farmacista, AOU Ospedali Riuniti, Ancona. Coordinatore Area Scientifica Sifo Sperimentazione Clinica

    Conduce:

    • Angelica GiambellucaAngelica Giambelluca
      Giornalista professionista in ambito medico

    ISCRIZIONE QUI - PARTECIPAZIONE GRATUITA

  • Grazie all’AI potrebbe essere possibile modificare le soglie di inclusione relativi ad alcuni criteri di eleggibilità senza aumentare il rischio di tossicità per i partecipanti

  • Un riferimento per la ricerca del miglior programma di formazione universitaria.

    I programmi di formazione universitaria per le figure professionali che gestiscono il processo della ricerca clinica sono numerosi e distribuiti a livello nazionale. In questa scheda riportiamo alcuni dei più importanti master sulla ricerca clinica attivi nel nostro paese.

    Potete segnalare un Master eventualmente non presente in questa lista scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

    Aggiornamento in corso per l'anno accademico 2022-23.

    Aggiornato al 15 novembre 2022.

    In evidenza i corsi con bando in attesa di aggiornamento.

    Titolo Master Università Livello Città
    Master Data Management e Coordinamento delle Sperimentazioni Cliniche Università del Piemonte Orientale (sede Alessandria) I livello Alessandria
    Evidence-Based Practice e Metodologia della Ricerca Clinico-Assistenziale Università degli studi di Bologna I livello Bologna
    Management in farmacia clinica oncologica Università degli studi di Catania II livello Catania
    Associato di ricerca clinica Università degli studi di Firenze II livello Firenze
    Medicina e salute di genere: dalla ricerca di laboratorio alla clinica e all'organizzazione sanitaria Università degli studi dell'Aquila II livello l'Aquila
    Master in ricerca clinica Università degli studi di Milano Statale in collaborazione con Istituto Mario Negri I livello Milano
    Master in Ricerca e Sviluppo Preclinico e Clinico dei Farmaci Università degli studi di Milano Bicocca  II livello Milano
    Master in Data Management per la Ricerca Clinica Università degli studi di Milano Bicocca I livello

    Milano

    Metodologia della Ricerca Clinica in Oncologia Università Vita-Salute San Raffaele I livello

    Milano

    Sviluppo preclinico e clinico del farmaco e monitoraggio post-marketing Università degli studi di Napoli Federico II II livello Napoli
    La sperimentazione clinica in oncologia: aspetti clinici, gestionali ed operativi Università di Padova e Università di Verona I livello Padova
    Metodologia della ricerca e della sperimentazione clinica Università di Padova II livello Padova
    Ricerca preclinica e clinica Università di Parma II livello Parma

    Metodologia della ricerca e della sperimentazione clinica

    Università di Pisa II livello Pisa
    Ricerca clinica, open innovation e market access nell’era digitale Università Campus Bio-Medico di Roma II livello Roma
    Ricerca clinica: metodologia, farmacovigilanza, aspetti legali e regolamentari Università Sapienza II livello Roma
    Assistente alla ricerca clinica Università Cattolica del Sacro Cuore I livello Roma
    Sviluppo preclinico e clinico del farmaco: aspetti tecnico-scientifici, regolatori ed etici Università Cattolica del Sacro Cuore II livello Roma
    Sperimentazione clinica: aspetti regolatori, gestionali e operativi - Major del Master in Management della filiera della salute Luiss Business School II livello Roma
    Gestione della sperimentazione clinica in ematologia e oncologia Università di Roma Tor Vergata in collaborazione con Fondazione GIMEMA I livello Roma
    Drug development - Industrial and clinical application Università di Siena II livello Siena
    Discipline regolatorie e market access in ambito farmaceutico e biotecnologico Università degli Studi del Piemonte Orientale II livello Torino
    Ricerca Clinica e Medical Affairs: Farmaci e Medical Devices Università degli studi Guglielmo Marconi II livello on-line
    Tradizionali e nuove professionalità per la ricerca clinica: conoscere e cogliere le opportunità delle evoluzioni sanitarie, normative, metodologiche e procedurali Unitelma Sapienza in collaborazione con FADOI II livello

    on-line

    Ricerca clinica e Medical Affairs. Farmaci e Medical devices 24ore Business School II livello

    on-line

  • Non si tratta di sperimentare un nuovo farmaco, ma di mettersi a disposizione, continuando la propria terapia di profilassi, al fine di raccogliere dati sull’efficacia e la sicurezza delle attuali terapie sostitutive e costituire un gruppo di controllo per lo studio di terapia genica di Fase 3 che verrà dopo.

    E’ a questo fine che l'azienda farmaceutica Pfizer ha avviato uno studio clinico su pazienti con emofilia di tipo A e B, che durerà sei mesi e che è stato avviato in 67 centri clinici in tutto il mondo, di cui 3 in Italia, a Roma, Napoli e Firenze. L’arruolamento di pazienti con Emofilia A è già concluso, ma per chi è affetto dalla più rara emofilia B, grave o moderatamente grave con valori del fattore di coagulazione nove inferiori al 2%, è ancora possibile partecipare e così contribuire allo sviluppo della terapia genica.  Lo studio è denominato “Six Month lead-in Study to Evaluate Prospective Efficacy and Safety Data of Current FIX Prophylaxis Replacement Therapy in Adult Hemophilia B Subjects (FIX:C≤2%) or Current FVIII Prophylaxis Replacement Therapy in Adult Hemophilia A Subjects (FVIII:C≤1%)”  ed

    uno dei requisiti fondamentali per poter partecipare è essere negativi per gli anticorpi neutralizzanti del virus Vectro-Spark100 Adeno-associato (Benegene -1) poiché questo criterio sarà fondamentale anche per chi parteciperò alla sperimentazione clinica della terapia genica.

    IN COSA CONSISTE IL TRATTAMENTO

    I partecipanti non saranno sottoposti a nessun trattamento con farmaci di tipo sperimentale ma verranno monitorati nel corso dei 6 mesi dello studio durante la terapia sostitutiva di profilassi standard già utilizzata dal paziente emofiliaco, il quale continuerà con l’infusione o auto-infusione del fattore di coagulazione mancante secondo il piano terapeutico prescritto per prevenire sanguinamenti. Questo studio ha come scopo la valutazione dell’efficacia e della sicurezza del trattamento di prevenzione con fattore di coagulazione deficitario in previsione di un seguente studio clinico con terapia genica. . Questo è uno studio in “aperto” dove sia il partecipante che lo sperimentatore sanno cosa si sta somministrando ed è di tipo multicentrico, ragion per cui il trial è condotto secondo un unico protocollo svolto parallelamente in differenti sedi (cliniche, ospedali, università) e pertanto condotto da più di un ricercatore ma in conformità con le stesse procedure.

    ECCO CHI PUO’ PARTECIPARE
    A questo studio possono partecipare soltanto i pazienti di sesso maschile, poiché l’emofilia è una malattia con base genetica di tipo recessivo essa si manifesta quasi solo nei maschi, con pochissime eccezioni. Vi sono però anche altri criteri che possono determinare l’inclusione o l’esclusione dallo studio, e che vanno sempre attentamente valutati dallo staff medico che accompagna il paziente, al quale poi spetta la decisione finale. Ecco i principali criteri
    Per i pazienti affetti da emofilia B, i soli per i quali è ancora possibile partecipare:

    1. Essere maschi di età maggiore o uguale a 18 e minore di 65 anni con emofilia B da moderatamente grave a grave e attività del fattore di coagulazione nove (IX) documentata pari a minore o uguale 2% prima della visita di riferimento.
    2. E’ necessario avere un documento di consenso informato datato e firmato personalmente che indica che il partecipante o il suo rappresentante legalmente autorizzato è stato informato di tutti gli aspetti pertinenti dello studio.
    3. E’ necessario che la persona sia disposta e in grado di rispettare le visite programmate, il piano di trattamento profilattico FIX, gli esami di laboratorio e altre procedure di studio.
    4. Soggetti con precedente esperienza con terapia sostitutiva con fattore di coagulazione IX per un tempo superiore a 50 giorni di esposizione documentata a un fattore proteico FIX come a un fattore FIX ricombinante, derivato dal plasma o a emivita estesa.
    5. La persona in terapia sostitutiva di profilassi FIX (prodotto FIX ricombinante, plasmaderivato o a emivita estesa) deve avere l'intenzione di continuare la terapia sostitutiva di profilassi FIX per tutta la durata dello studio.
    6. Nessuna ipersensibilità nota al fattore sostitutivo FIX.
    1. Nessun precedente di sviluppo di anticorpi inibitoricontro FIX somministrato (valutazione clinica o di laboratorio) definita come titolo maggiore o uguale a 0,6 BU/mL, indipendentemente dall'intervallo di normalità del laboratorio, o qualsiasi titolo misurato dell'inibitore (anticorpo contro FIX) con metodo Bethesda maggiore del limite superiore della norma per il laboratorio che esegue il test. Clinicamente, nessun segno o sintomo di ridotta risposta alla somministrazione di FIX. Ai soggetti non sarà richiesto di sottoporsi a valutazione diagnostica del livello di inibitore per partecipare allo studio.

    Per i partecipanti con emofilia A (arruolamento attualmente concluso):

    • Essere maschi di età maggiore o uguale a 18 e minore di 65 anni con emofilia A da moderatamente grave a grave e attività del fattore di coagulazione otto (VIII) documentata pari a minore o uguale 1% prima della visita di riferimento.
    • E’ necessario avere un documento di consenso informato datato e firmato personalmente che indica che il partecipante o il suo rappresentante legalmente autorizzato è stato informato di tutti gli aspetti pertinenti dello studio.
    • E’ necessario che la persona sia disposta e in grado di rispettare le visite programmate, il piano di trattamento della profilassi del fattore VIII, gli esami di laboratorio e altre procedure di studio.
    • Persone che si sono già sottoposte a precedente trattamento con la terapia sostitutiva del fattore VIII (per un tempo maggiore o uguale a 150 giorni di esposizione documentata a un preparato proteico del fattore VIII, come ad un preparato a base di fattore VIII ricombinante, derivato dal plasma o con emivita estesa).
    • Soggetti in terapia sostitutiva di profilassi con fattore VIII (prodotto ricombinante, plasma-derivato o con fattore VIII a emivita estesa) devono avere l'intenzione di continuare la terapia sostitutiva preventiva del fattore VIII per la durata dello studio.
    • Nessuna ipersensibilità nota al prodotto sostitutivo del fattore VIII.
    • Nessun precedente di produzione di anticorpo inibitore del fattore VIII (valutazione clinica o di laboratorio) definita come titolo maggiore o uguale a 0,6 BU/mL, indipendentemente dall'intervallo normale di laboratorio, o qualsiasi titolo misurato dell'inibitore con metodo Bethesda maggiore del limite superiore della norma per il laboratorio che esegue il test. Clinicamente, non deve esserci nessun segno o sintomo di ridotta risposta alla somministrazione di fattore VIII. Ai soggetti non sarà richiesto di sottoporsi a valutazione diagnostica del livello dell’inibitore per partecipare allo studio.

    CHI NON PUO’ PARTECIPARE

    Le condizioni che non permettono di partecipare sono:

    1. Per gli emofilici di tipo B: chi ha titolo anticorpale neutralizzante anti-AAV-Spark100 superiore o uguale a 1:1 eseguito da un laboratorio centrale durante lo screening;
    2. Per gli emofilici di tipo A: chi ha titolo anticorpale neutralizzante anti-SB-525 capside (AAV6) (superiore o uguale al titolo più basso rilevabile) eseguito da un laboratorio centrale durante lo screening.
    3. Mancata aderenza / precisione del paziente con la documentazione delle emorragie e/o somministrazione di terapia sostitutiva profilattica.
    1. Se non c'è documentazione relativa sullo stato di epatite, come definito di seguito, negli ultimi 12 mesi prima dello screening per l'epatite B e 6 mesi prima dello screening per l'epatite C, i soggetti dovranno sottoporsi al seguente test dell'epatite allo screening:

    Screening dell'epatite B (acuta e cronica):

    Misurazione di HBsAg (indicato anche come antigene di superficie dell'epatite B), test virale HBV-DNA (indicato anche come test dell'acido nucleico per il DNA del virus dell'epatite B) e misurazione di Anti-HBc (indicato anche come anticorpo del nucleo dell'epatite B totale).

      • Un soggetto non è idoneo se l'HbsAg è positivo o l'HBV-DNA è positivo/rilevabile.
      • L'anti-HBc deve essere ricavato in tutti i soggetti per determinare se il soggetto ha avuto una precedente epatite B. Se l'anti-HBc è positivo e sia HBsAg che HBV-DNA sono negativi, ciò sarebbe coerente con una precedente infezione e il soggetto sarebbe idoneo per lo studio. L'anti-HBc deve essere ottenuto in tutti i soggetti per discriminare tra quelli senza precedente epatite B e quelli con precedente infezione in caso di riattivazione. La FDA ha notato che esiste la riattivazione del virus dell'epatite B.
      • Una carica virale HBV-DNA negativa documentata è sufficiente per valutare l'idoneità. Non è idoneo un paziente che è attualmente in terapia antivirale per l'epatite B.

    Epatite C (acuta o cronica):

    Non è ammesso un paziente che è attualmente in terapia antivirale per l'epatite cronica C.

      • I soggetti trattati con terapia antivirale per l'epatite cronica C, devono aver completato la terapia antivirale almeno 6 mesi prima dello screening e avere un HCV-RNA negativo almeno 6 mesi prima dello screening.
      • Tutti i soggetti (che non sono attualmente sottoposti a terapia antivirale per l'epatite cronica C) devono avere un singolo test di carico HCV-RNA (indicato anche come test dell'acido nucleico [NAT] per HCV RNA) ricavato durante i 6 mesi precedenti lo screening. Ciò include soggetti con precedente epatite cronica C nota che hanno completato il trattamento con terapia antivirale.
      • Un soggetto non è idoneo se il risultato del test di carico dell'HCV-RNA è positivo/rilevabile.

    5. Le persone che attualmente sono in terapia antivirale per l'epatite B o C.

    6. Un soggetto non è idoneo se nella cartella clinica è presente una delle seguenti diagnosi preesistenti, che sono indicative di una significativa malattia epatica sottostante:

    ipertensione portale; o

    splenomegalia; o

    encefalopatia epatica.

    Tutti i soggetti che non presentano le diagnosi preesistenti sopra elencate devono sottoporsi alle seguenti valutazioni eseguite negli ultimi 12 mesi prima dello screening e, in caso contrario, dovranno essere testati per lo stato di fibrosi epatica allo screening:

    • Misurazione dell'albumina sierica. Un soggetto non è idoneo se il livello di albumina sierica è inferiore al limite inferiore della norma del laboratorio di analisi; e
    • Uno dei seguenti test diagnostici per la fibrosi epatica. I seguenti risultati sono indicativi di fibrosi ed escludono il soggetto dalla partecipazione:

    - FibroScan, con un punteggio >8,3 kPa unità;

    - FibroTest/FibroSURE con risultato >0,48*; o

    - Indice del rapporto AST-piastrine (APRI) >1.

    • I partecipanti già accettati in questo studio iniziale (C0371004) possono essere autorizzati a partecipare ai periodi di screening e basale dei protocolli C0371002 o C3731003 prima del completamento della visita di fine studio in questo studio iniziale.
    • Partecipazione ad altri studi se comporta la somministrazione di prodotti sperimentali negli ultimi 3 mesi prima dell'ingresso nello studio e/o durante la partecipazione allo studio o in un precedente studio clinico di terapia genica negli ultimi 12 mesi prima dello screening.
      • Si precisa che se un soggetto ha una storia nota di sindrome di Gilbert, un FibroTest non può essere utilizzato per il test della fibrosi.
    • Persone con evidenze sierologiche documentate del virus dell'immunodeficienza umana HIV-1 o HIV-2 con conta delle cellule positive al cluster di differenziazione 4 (CD4+) minore o uguale 200 mm3 negli ultimi 12 mesi prima dello screening. Possono iscriversi i soggetti HIV positivi e stabili, con una conta CD4 adeguata (maggiore di 200/mm3) e una carica virale non rilevabile (minore di 50 gc/mL) documentata nei 12 mesi precedenti e che stanno assumendo un regime di farmaci antiretrovirali. I soggetti che non sono stati testati nei precedenti 12 mesi di screening dovranno essere testati per lo stato di HIV allo screening.
    • Storia di infezione cronica o altra malattia cronica che il medico sperimentatore ritiene un rischio inaccettabile. Qualsiasi paziente con una storia di eventi trombotici inclusi ma non limitati a ictus o infarto del miocardio.
    • Qualsiasi malattia o condizione clinicamente significativa concomitante che il medico sperimentatore ritenga non idonea alla partecipazione o altra condizione medica o psichiatrica acuta o cronica, inclusi ideazione o comportamento suicidario recente (entro l'anno passato) o attivo o anomalie di laboratorio che possono aumentare il rischio associato alla partecipazione allo studio o può interferire con l'interpretazione dei risultati dello studio e, a giudizio dello sperimentatore, renderebbe il soggetto inappropriato per l'ingresso in questo studio.
    • Qualsiasi paziente che abbia precedentemente ricevuto Fidanacogene Elaparvovec (SPK-9001) (emofilia B) o SB-525 (emofilia A) o qualsiasi terapia basata sul gene AAV.
    • Qualsiasi persona con una procedura chirurgica pianificata che richieda un trattamento chirurgico con fattore profilattico FIX (emofilia B) o FVIII (emofilia A) nei successivi 24 mesi.
    • Membri del personale del sito dello sperimentatore direttamente coinvolti nella conduzione dello studio e dei loro familiari, membri del personale del sito altrimenti supervisionati dallo sperimentatore o soggetti che sono dipendenti Pfizer, compresi i loro familiari, direttamente coinvolti nella conduzione dello studio.

     

    OBIETTIVI

    Questo tipo di studio è finalizzato alla raccolta di dati prospettici della terapia, per cui vengono valutati gli effetti del trattamento farmacologico seguendo le persone coinvolte a partire dall'inizio dello studio e fino alla sua conclusione (in questo caso la durata è di 6 mesi).

    Gli obiettivi primari sono la misurazione e la valutazione dei seguenti parametri:

    • Il tasso annuo di sanguinamento (ABR) per partecipante.

    In caso di emofilia di tipo B esso sarà calcolato come il numero di sanguinamenti/emorragie nel numero di giorni in cui il paziente, a partire dalla prima visita (giorno 1), ha ricevuto la terapia sostitutiva di profilassi con FIX fino alla fine dello studio, moltiplicato x 365,25 giorni. L'ABR sarà sintetizzato utilizzando statistiche descrittive (n, media, deviazione standard, mediana, Q1, Q3, minimo, massimo). In caso di emofilia di tipo A il tasso annuo di sanguinamento (ABR) sarà calcolato nello stesso modo sempre a partire dalla prima visita (giorno 1) con terapia sostitutiva di profilassi a base di FVIII.

    • Incidenza di eventi avversi gravi

    L'analisi di sicurezza primaria verrà eseguita su tutti i partecipanti che firmano il documento di consenso informato e vengono successivamente identificati come nAb negativi e vengono accettati, dopo una attenta visita di riferimento completa, nello studio.

    • Eventi di particolare interesse (ESI): reazioni avverse dovute a produzione di anticorpo inibitore contro FIX o FVIII, eventi trombotici e reazioni di ipersensibilità da FIX o FVIII

    Viene controllata la frequenza e la percentuale di questi eventi e poi fatto un riepilogo. Vengono inoltre descritti tutti gli eventi che portano all'interruzione dello studio.

    Obiettivi secondari:

    • Misurazione del tasso di infusione annualizzata (AIR).

    Il tasso/il ritmo di infusione annualizzata (AIR) per partecipante sarà calcolata come il numero di infusioni ricevute nel numero di giorni in cui il soggetto con emofilia di tipo B ha ricevuto la terapia sostitutiva di profilassi FIX dalla prima visita (definito come giorno 1) fino alla fine dello studio, moltiplicato x 365,25 giorni. Il parametro AIR sarà sintetizzato utilizzando statistiche descrittive (n, media, deviazione standard, mediana, Q1, Q3, minimo, massimo). Stessa misurazione viene effettuata anche per gli emofiliaci di tipo A durante la terapia sostitutiva di profilassi con FVIII.

    • Valutazione della dose e del consumo totale dei fattori di coagulazione.

    Per gli emofiliaci di tipo B, il consumo totale della terapia sostitutiva a base di fattore IX e la dose corrispondente saranno riepilogati in maniera descrittiva secondo la categorizzazione della terapia sostitutiva, dove appropriato. Verrà valutato il diario di infusione (diario elettronico di infusione) della terapia. Per gli emofiliaci di tipo A verranno valutati gli stessi parametri durante terapia sostitutiva con fattore coagulante VIII.

    • Misurazione del numero di eventi emorragici (spontanei e/o traumatici)

    Il numero di episodi emorragici viene riassunto per tipologia di manifestazione e quindi di tipo spontaneo, traumatico e nel complesso definito come qualsiasi sanguinamento che si verifica 72 ore dopo l'interruzione del trattamento farmacologico dall'emorragia originaria per cui è stato iniziato il trattamento. Oppure un'emorragia che si verifica in un posto diverso dall'emorragia originaria indipendentemente dal tempo dall'ultima iniezione.

    PRESSO QUALI CENTRI È POSSIBILE RIVOLGERSI IN ITALIA

     

    FIRENZE

    SODc  Malattie emorragiche e della coagulazione dell’AOU Careggi

    Centro di Riferimento Regionale per le Coagulopatie congenite

    Largo Brambilla, 3 - 50134

    Contatti

    Tel. 055 794 7587 per prenotazioni
    Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

    Centro che accetta partecipanti

    NAPOLI

    Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II Centro di Coordinamento Regionale per le Emocoagulopatie Medicina Interna, Malattie Emorragiche e Trombotiche

    Via S. Pansini, 5 – 80131 – Napoli Tel: Direzione: 0817462060 Ambulatorio: 0817462161 – 0817462317 Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

    Centro che accetta partecipanti

    ROMA

    Centro di Ematologia dell’Università degli studi di Roma "La Sapienza" - Policlinico Umberto I
    Dipartimento di Medicina Traslazionale e di Precisione Via Benevento 6 – 00161 – Roma

    Centralino: 06-857951

    Centro che accetta partecipanti

     

    ULTERIORI SPECIFICHE

    REFERENTE PER INFORMAZIONI - Pfizer CT.gov Call Center - 1-800-718-1021

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    Identificatore ClinicalTrials.gov: NCT03587116   - Altri numeri ID dello studio:    C0371004; 2017-001271-23 (Numero EudraCT)

    Pfizer fornirà l'accesso ai dati dei singoli partecipanti non identificati e ai relativi documenti di studio (ad es. protocollo, piano di analisi statistica (SAP), rapporto di studio clinico (CSR)) su richiesta di ricercatori qualificati e soggetti a determinati criteri, condizioni ed eccezioni. Ulteriori dettagli sui criteri di condivisione dei dati di Pfizer e sulla procedura per richiedere l'accesso sono disponibili all'indirizzo: https://www.pfizer.com/science/clinical_trials/trial_data_and_results/data_requests.

  • Gilead compie un balzo in borsa a seguito della pubblicazione di dati preliminari sul remdesivir.

  • Martedì 21 Aprile si terrà un webinar organizzato da AFI (Associazione Farmaceutici Industria) per discutere dell'impatto che l'emergenza COVID-19 ha creato nel mondo della sperimentazione clinica.

  • Il protocollo giunto sul tavolo dell’AIFA prevede l’impiego di anakinra ed emapalumab (entrambi prodotti da SOBI) per il trattamento delle complicanze di COVID-19.

  • L'Agenzia Italiana del Farmaco ha pubblicato sul proprio sito una pagina su cui verranno inseriti tutti i documenti e le informazioni riguardanti le sperimentazioni cliniche dedicate al COVID-19

  • Sul New England Journal of Medicine pubblicati i risultati del primo studio clinico di lopinavir-ritonavir per COVID19

  • Il numero di studi clinici registrati sulla piattaforma clinicaltrials.gov ha superato quota 100, con un totale di 108 al 17 marzo.

  • La ricerca clinica è fondamentale perché permette ai pazienti di ricevere cure innovative che, in molti casi come nelle malattie rare, sono l’unica speranza di cura, eleva il livello scientifico e il prestigio di ricercatori e ospedali ed è fonte di ingenti risparmi per SSN. Il modello di sviluppo dei farmaci è cambiato: le start-up (anche spinoff universitari) scoprono o sviluppano nelle primissime fasi nuove molecole e successivamente possono intraprendere delle partnership con le aziende farmaceutiche per ulteriore sviluppo del farmaco.

  • Oltre il 55% dei risultati di sperimentazioni cliniche non sono pubblicati secondo le tempistiche richieste dalla legge americana.

  • Facciamo il punto della situazione sull‘imminente applicazione del Regolamento 536/2014 sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano che abroga la direttiva 2001/20/CE.

    Per l’Italia tanti nodi ancora irrisolti.

  • Le sperimentazioni cliniche effettuate nell’Unione Europea sono tante, ma di circa la metà, non se ne conoscono i risultati. Questo nonostante aderiscano all’EU Clinical Trial Register, la piattaforma che prevede l’obbligo di comunicare i risultati, positivi o negativi che siano, entro un anno dalla conclusione del programma sperimentale.

  • Pochi giorni fa è stato presentato in Senato il primo strumento che consente di effettuare una stima dell’impatto delle sperimentazioni cliniche nella prospettiva delle aziende sanitarie.

  • Per informazioni www.gidm.org 

     

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  • Cosa è il tumore al colon retto

    Il cancro del colon retto è molto frequente e racchiude tumori che interessano il tratto dell’intestino crasso e il retto. Quasi tutti sono adenocarcinomi (95%) che insorgono con la formazione di quello che viene comunemente chiamato “polipo”, una formazione a bottone che appare sulla mucosa intestinale. Questo polipo si può trasformare, estendere e crescere nella parete intestinale per poi diffondersi nel corpo.

    A che età ci si ammala

    È un tumore che si può presentare in ogni età ma l’incidenza aumenta in maniera importante tra i 40 e i 50 anni.

    Quali sono i fattori di rischio

    È difficile definire con precisione i fattori di rischio perché è una malattia di cui non si conosce perfettamente il meccanismo di insorgenza. Si ipotizza l’importante influenza del microbioma intestinale, la popolazione di batteri che popolano il nostro intestino, e si è notata una relazione tra una dieta ricca di grassi, proteine animali e carboidrati (ma povera di fibre) come possibile fattore di rischio.

    In circa il 20% dei casi il tumore colorettale ha una componente ereditaria.

    Alcune malattie come il morbo di Crohn o la colite ulcerosa possono aumentare il rischio di una formazione tumorale, anche in relazione alla prolungata presenza di queste patologie.

    È possibile fare screening 

    Fortunatamente è possibile effettuare degli esami di screening per il cancro del colon-retto in modo piuttosto semplice:

    Esame del sangue occulto nelle feci - un esame semplice che consente di avere una prima idea della situazione anche se non esclude completamente la possibilità di un tumore anche in caso di esame negativo. Questo esame dovrebbe essere idealmente eseguito ogni anno.

    Colonscopia - Questo esame può essere endoscopico o virtuale. Alla comodità della seconda opzione, che non richiede sedazione, si contrappone una sensibilità diagnostica minore e una impossibilità di rimozione immediata degli eventuali polipi identificati. La colonscopia endoscopica può essere eseguita ogni 10 anni. 

     Lo screening è altamente raccomandato dai 45-50 anni in poi.

    Quali i sintomi iniziali

    Il tumore colorettale è solitamente a crescita lenta e non causa sintomi immediati. La comparsa dei sintomi è anche condizionata alla posizione della lesione e alle differenze anatomiche del colon. I sintomi principali sono: emorragia, anemia o dolore addominale, fondamentalmente causato dall’ostruzione. 

    Il sintomo più comune rimane il sanguinamento nel corso della defecazione.

    Come si effettua la diagnosi

    Se si è riscontrata una positività nell’esame del sangue occulto è necessario sottoporsi ad una colonscopia endoscopica che dovrà rimuovere (se possibile) tutti i polipi che saranno di seguito analizzati istologicamente. Se l’esame conferma la presenza di cellule cancerose il paziente dovrà poi essere indirizzato ad esami clinici di approfondimento per definire l’estensione del tumore e la presenza di eventuali metastasi.

    Quali sono le terapie disponibili

    Quando possibile si interviene chirurgicamente per la rimozione delle zone interessate dal tumore. Quando indicato, viene anche utilizzata una terapia adiuvante, una terapia chemio o radio somministrata prima e dopo l’operazione chirurgica. 

    Quali gli studi clinici in corso?

    In questo momento (maggio 2022) sono attivi in Italia 76 studi clinici per il cancro del colon retto. Di questi:

    16 studi sono di tipo osservazionale e interessano temi come la biopsia liquida, immunoterapia o procedure chirurgiche

    61 studi sono di tipo interventistico in cui vengono valutate diverse terapie

    È possibile vedere qui la lista degli studi clinici disponibili.

    A chi mi posso rivolgere? 

    Per ulteriore aiuto organizzativo il paziente può rivolgersi ad importanti associazioni di pazienti come AMOC o AIMAC

     

    La sezione è stata sviluppata con il contributo non condizionante di

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  • Per quanto la ricerca scientifica abbia fatto passi da gigante negli ultimi decenni, le differenze di sesso e genere sono ancora poco considerate nel disegno degli studi scientifici, nella raccolta dei dati, nell'elaborazione dei risultati e nella comunicazione scientifica in generale. 

    Nel 2020, la Commissione Europea ha dichiarato che avrebbe richiesto a tutti i destinatari delle sovvenzioni del programma Horizon Europe, che gestisce un budget di 95,5 milioni di euro, di incorporare una specifica analisi per sesso e genere nel disegno delle ricerche, diventando così il primo grande finanziatore a incentivare l'inclusività nella ricerca.

    I passi per colmare il divario di genere, però, devono essere compiuti anche dagli altri due importanti pilastri della ricerca scientifica: le università e le riviste scientifiche. Secondo un editoriale pubblicato su Nature poco dopo l'annuncio della Commissione Europea, le riviste scientifiche avrebbero dovuto incoraggiare i ricercatori e le ricercatrici a rendere più inclusiva la metodologia di ricerca, richiedendo l'analisi dei dati legati a sesso e genere come requisito per la pubblicazione.

    Nonostante alcune riviste seguano questa direzione già da diversi anni e ci sia stato un effettivo incremento del numero di studi più inclusivi negli ultimi vent'anni, il gender research gap continua a persistere e, soprattutto, rimane insufficiente la disaggregazione dei dati basati su sesso e genere.

    Pochi giorni fa, rispondendo al suo stesso appello di un paio di anni prima, la rivista Nature ha comunicato di aver alzato l'asticella in fatto di inclusività.

    D'ora in poi, tutti i ricercatori e le ricercatrici che intendono inviare i loro articoli alle riviste del gruppo Nature (Nature, Nature Communications, Communications Journals and Nature Partner Journals) dovranno dichiarare le modalità con le quali il sesso e il genere sono stati considerati nel disegno dello studio e, nel caso questi non siano stati presi in esame, verrà chiesto loro di chiarirne i motivi. Inoltre, dovranno essere forniti i dati disaggregati per sesso e genere.

    La variazione al codice etico della politica editoriale di Nature, che si basa sulle linee guida SAGER (Sex and Gender Equity in Research), verrà quindi applicata a tutti gli studi che prevedono la partecipazione di esseri umani o altri vertebrati e a quelli che si svolgono su linee cellulari. 

    Lo stesso editore, comunque, avverte di essere cauti nella comunicazione delle evidenze ottenute dall'analisi del sesso e del genere per evitare eventuali conseguenze negative, soprattutto quando queste possono avere un impatto sociale e politico.

    Perché analizzare le differenze di sesso e genere?

    La salute può essere influenzata sia da differenze biologiche (sesso) che socio-economiche nonché culturali (identità di genere). Pur con la stessa malattia, persone di sesso e genere diverso possono avere incidenza, sintomatologia e gravità diverse.

    Eppure la medicina e la ricerca biomedica ancora faticano ad abbandonare il genere maschile come standard di riferimento.

    Considerare il genere femminile solo come una deviazione dal maschile può portare a un'alterazione della conoscenza riguardante la complessità dei processi fisiologici e patologici conducendo talvolta a risultati catastrofici.

    L'esempio più eclatante è quello avvenuto negli Stati Uniti. Tra il 1997 e il 2001 sono stati ritirati dieci farmaci, otto dei quali a causa degli effetti collaterali che si manifestavano con una gravità maggiore nelle donne. Queste differenze, con ogni probabilità, erano state ignorate a causa dell'insufficiente o inappropriata analisi dei dati riguardanti sesso e genere durante gli studi clinici che ne avevano consentito la commercializzazione.

    Gli indizi sull'importanza di includere i dati sulle differenze di genere nella ricerca clinica sono innumerevoli. Le donne, per esempio, se colpite da infarto del miocardio hanno una probabilità più alta di morire perché presentano sintomi diversi, meno conosciuti e riconoscibili, rispetto a quelli che da sempre sono considerati lo standard, ovvero quelli tipici del maschio. Inoltre, maschi e femmine differiscono per il funzionamento della risposta immunitaria, fattore che rende le donne più suscettibili allo sviluppo di malattie autoimmuni e alle reazioni avverse ai vaccini e gli uomini più esposti alle malattie infettive.

    La ricerca di genere non è la ricerca a favore delle donne 

    Incentivare l'approccio di genere nella ricerca non significa solo studiare meglio le donne. Sappiamo, infatti, che alcune patologie come le malattie respiratorie in età pediatrica o la malattia di Parkinson sono più frequenti nei maschi mentre altre, come l'osteoporosi sono più frequenti nelle donne. La disaggregazione dei dati in base a sesso e genere potrebbe agevolare la conoscenza del reale impatto di queste malattie sui due sessi e permettere un intervento terapeutico più mirato.

    La ricerca basata sui dati di genere è quindi importante non solo per migliorare la comprensione dei fattori determinanti la salute e la malattia in senso più ampio ma rappresenta anche un anello di congiunzione fondamentale verso una maggiore equità di accesso alle cure ed una medicina sempre più focalizzata sulle caratteristiche del paziente.

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  • Durante questi anni di pandemia da coronavirus si è assistito a repentine variazioni nei settori della sanità pubblica e della ricerca biomedica che hanno dato nuova linfa vitale all’innovazione permettendo di cogliere nuove opportunità e accettare le sfide del futuro della salute.

    Con l’aumento del numero di assistiti, soprattutto quelli in età più avanzata, e una riduzione delle risorse economiche e umane destinate ai sistemi sanitari è necessario accelerare la transizione al digitale e sarà sempre più importante focalizzare l’attenzione in particolare sulla prevenzione, sulla capacità di predire l’andamento delle malattie e sulla personalizzazione dei trattamenti.

    Per andare in questa direzione non si potrà fare a meno di una delle risorse meno sfruttate dai sistemi sanitari: i pazienti. Oltre a fornire la loro esperienza da fruitori dei servizi sanitari e le idee per migliorarli e innovarli,

    i pazienti sono un’incredibile fonte di dati che possono essere raccolti ed elaborati a vantaggio di tutti.

    Come sottolinea Alberto E. Tozzi, ex direttore dell’Unità innovazione e percorsi clinici dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù, nel suo libro "Impazienti — la medicina basata sull’innovazione “non ci accorgiamo di essere seduti su una miniera d’oro e ancora non siamo in grado di sfruttare il mare di informazioni che ci circonda. […] Dovremo avere sistemi efficienti in grado di estrarre dati, combinarli tra loro, valutarne la qualità e consentire rapide analisi.”

    DIGITAL TWIN

    Una delle idee che sta prendendo piede negli ultimi anni in questo ambito è quella dell’applicazione del concetto ingegneristico di digital twin in medicina. Il digital twin o gemello digitale è stato descritto nel 2018 da Cimino et al. come una copia virtuale di un sistema fisico che è continuamente aggiornata con i dati più recenti raccolti per mezzo di sensori.

    Si tratta di un clone digitale di un oggetto, un prodotto, un processo o un sistema che permette, in particolar modo, di predirne il comportamento grazie alla continua monitorizzazione.

    L’applicazione in medicina di questo concetto viene chiamato digital patient. Un paziente digitale è una copia virtuale di un paziente che viene costruita basandosi sui dati raccolti da diverse fonti, da quelle strettamente mediche, come le analisi di laboratorio e le immagini radiologiche, fino a quelle che comprendono apparecchi indossabili come gli smartwatch o le applicazioni degli smartphone.

    La grande differenza tra un gemello digitale di un oggetto e un paziente digitale sta nel fatto che mentre per un oggetto si ha a disposizione il progetto originale e quindi si conosce lo stato di partenza delle diverse componenti ed è più facile sapere quali dati raccogliere per studiarne l’evoluzione, per un paziente è praticamente impossibile ottenere dati e informazioni che riguardano ogni singola cellula a partire dal concepimento.

    Nonostante il paziente digitale possa rappresentare quindi solo una parte del paziente reale, questa tecnologia può migliorare la capacità di predire i risultati degli studi clinici e aiutare a promuovere un cambio di paradigma in medicina: dall’approccio reattivo a quello preventivo.

    IL PAZIENTE VIRTUALE NELLA RICERCA CLINICA

    Il paziente digitale comprende al suo interno il virtual patiento paziente virtuale, un insieme di modelli e simulazioni che permettono di ricreare processi fisiologi e patologici che avvengono all’interno di una persona in carne e ossa. È possibile creare un paziente virtuale per il settore farmacologico, che quindi simula processi che riguardano l’assunzione di un farmaco, oppure per il settore dei dispositvi medici che ricrea quei processi legati all’effetto di un apparecchio su un organo o tessuto.

    Il paziente virtuale, quindi, può teoricamente essere usato per predire, per mezzo delle simulazioni, dati clinici riguardanti l’efficacia e la sicurezza di un farmaco o di un apparecchio su un dato paziente o su gruppi di pazienti con caratteristiche simili.

    Per questo motivo, il paziente virtuale potrebbe diventare un importante alleato della ricerca clinica potendo sostituire, per esempio, l’impiego di volontari sani nei gruppi di controllo oppure prevedere gli eventuali effetti indesiderati dei farmaci sui partecipanti a uno studio, consentendo ai ricercatori di evitarne la comparsa modulando la somministrazione del farmaco.

    IL FUTURO

    Per ora questo approccio è promettente dal punto di vista teorico ma lo sviluppo della tecnologia è ancora allo stadio embrionale. Le applicazioni nella ricerca clinica e nella medicina sono scarse a causa dell’elevato costo delle tecnologie necessarie, della carenza delle infrastrutture utili alla raccolta dati e del problema di privacy che ne consegue.

    Lo sviluppo di internet, l’invenzione degli smartphone, l’intelligenza artificiale e altre rivoluzioni digitali degli ultimi decenni ci hanno però insegnato che nulla è impossibile e che l’innovazione scorre veloce e inesorabile. Riusciremo a vedere anche la nascita del nostro gemello digitale?

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