Il protocollo giunto sul tavolo dell’AIFA prevede l’impiego di anakinra ed emapalumab (entrambi prodotti da SOBI) per il trattamento delle complicanze di COVID-19.
Dopo remdesivir (Gilead) e tocilizumab (Roche) di cui avevamo parlato in un precedente articolo pubblicato sull’Osservatorio Malattie Rare, l’AIFA ha aggiunto alla lista delle sperimentazioni cliniche avallate e partite nel nostro paese (l’aggiornamento al 30 marzo 2020 comprende anche sarilumab) un trial clinico su Anakinra ed Emapalumab, due molecole della casa farmaceutica svedese Sobi.
È, infatti, partito lo studio per la valutazione dell’efficacia e della sicurezza di questi due farmaci nel trattamento delle complicanze dell’infezione provocata dal virus SARS-CoV-2. “Molteplici evidenze cliniche ci hanno portato ad osservare che, in una certa percentuale di pazienti, questo virus sembra provocare una tempesta citochinica che conduce a un peggioramento delle condizioni dei pazienti con collasso respiratorio e conseguente necessità di essere sottoposti a intubazione endotracheale in regime di terapia intensiva”, spiega Giampiero Marra, Medical Director di Sobi Italia. “Ciò che ci si augura di poter fare in questo momento è intervenire con un farmaco che riesca a spegnere questa tempesta di citochine”.
“Sia anakinra che emapalumab hanno le caratteristiche idonee per bloccare questa tempesta di citochine”, spiega ancora Marra. “Anakinra è un inibitore dell’Interleuchina-1 (IL-1), nato per il trattamento dell’artrite reumatoide, e per altre patologie infiammatorie come le Sindromi Periodiche Associate alla Criopirina (CAPS) o la malattia di Still. Si tratta di un farmaco anti-infiammatorio approvato dall’EMA e disponibile per il commercio in Italia. Emapalumab, invece, è un anticorpo monoclonale anti-interferone gamma (anti-IFNγ) approvato dalla FDA americana per il trattamento della linfoistiocitosi emofagocitica primaria (p-HLH), una patologia che colpisce pochissimi pazienti nel mondo e che abbiamo imparato a conoscere attraverso il caso del piccolo Alex trattato all’Ospedale Bambino Gesù di Roma circa un anno e mezzo fa”. Attraverso il meccanismo del blocco delle citochine, Emapalumab consente ai pazienti di giungere in condizioni fisiche ottimali al momento del trapianto, considerato la sola e unica soluzione al loro problema. Questo farmaco non è stato ancora approvato a livello europeo e ciò ha reso necessario un particolare disegno di studio.
“Abbiamo attivato uno studio di Fase II per emapalumab e uno studio di Fase III per anakinra”, riprende il Medical Director di Sobi Italia. “Sono due studi clinici multicentrici randomizzati, condotti in aperto, nati da una richiesta del Consiglio Superiore di Sanità e dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma che, sulla base di evidenze scientifiche, hanno ritenuto che entrambi i farmaci potessero avere un razionale d’uso nel bloccare sin dalle fasi iniziali la sindrome da rilascio delle citochine, evitando così di incorrere nella situazione più drammatica, cioè il deficit respiratorio, che richiede il ricovero in terapia intensiva”. Il principale obiettivo degli studi è dunque la valutazione degli effetti della somministrazione endovenosa di emapalumab e anakinra sullo stadio di iper-inflammazione e sulla funzione polmonare nei pazienti con COVID-19. Inoltre, saranno valutate la loro sicurezza e tollerabilità e i loro effetti su altri specifici marcatori della fase infiammatoria.
Il disegno della sperimentazione prevede una suddivisione in tre bracci di studio, ognuno dei quali arruolerà 18 pazienti, per un totale di 54 individui con diagnosi di SARS-CoV-2 e gravi difficoltà respiratorie. I pazienti saranno randomizzati secondo lo schema 1:1:1 nei tre gruppi che prevedono, rispettivamente, il trattamento con emapalumab, anakinra e terapia standard. La durata dello studio è stata definita in due settimane, con un periodo aggiuntivo di osservazione di otto settimane e i centri coinvolti in Italia, oltre all’Istituto Spallanzani di Roma, saranno il Policlinico di Milano, gli Spedali Civili di Brescia e l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma.
“Per avere delle indicazioni sui risultati occorrerà vedere quali saranno i ritmi di arruolamento e studiare le risposte dei pazienti alle terapie”, conclude Marra. “Ci auguriamo di poterli ottenere nel più breve tempo possibile per poter offrire il nostro contributo all’individuazione di soluzioni efficaci contro le terribili complicazioni dell’infezione da SARS-CoV-2”.