• La proposta programmatica di quattro importanti associazioni scientifiche, affinché la ricerca riparta con slancio dopo la pandemia.

  • Da ieri in Europa, con la messa online del portale CTIS (Clinical Trial Information System), è possibile gestire uno studio clinico seguendo le procedure dettate dal regolamento europeo 536/2014. L’Italia però non si è fatta trovare pronta a questo appuntamento ed è uno di quei pochissimi paesi (3 su 27) che devono ancora adeguare la propria infrastruttura organizzativa alle linee della nuova normativa.

    La lista dei problemi ancora da affrontare è lunga e in questo articolo potete trovare un’analisi dettagliata, poi ripresa anche da Gian Antonio Stella in un suo recente editoriale sul Corriere della Sera.

    Un editoriale, quello di Stella, che è stato richiamato anche ieri nel corso del convegno “La Ricerca Clinica in Italia e il Regolamento Europeo: Partiamo!” promosso da AFI (Associazione Farmaceutici Industria) FADOI (Società Scientifica di Medicina Interna) GIDM (Gruppo Italiano Data Manager) SIMeF (Società Italiana di Medicina Farmaceutica).

    In questo contesto è emerso chiaramente il grido di allarme, se non di vero dolore, di chi tutti i giorni lavora per la ricerca e per i pazienti, nonostante il sospetto di una sostanziale “indifferenza delle istituzioni verso la ricerca” come ha sottolineato Marco Vignetti, presidente della Fondazione GIMEMA. 

    Che questa indifferenza esista ma sia poco giustificabile lo ha chiarito Marco Zibellini, direttore della direzione tecnico scientifica di Farmindustria, il quale ha ricordato come la ricerca clinica muova investimenti per circa 700 milioni di euro l’anno solo dal punto di vista finanziario, senza poi contare l’enorme impatto sul miglioramento della gestione amministrativa, organizzativa e di erogazione delle cure presso i reparti ospedalieri coinvolti. Esistono già analisi che dimostrano come il valore della ricerca clinica finanziata, ricordiamolo, quasi esclusivamente dall’industria privata, si tramuti addirittura in un guadagno per il Servizio Sanitario Nazionale. Oltre a questi numeri economici bisogna anche ricordare il grandissimo valore della produzione scientifica che, per quantità e qualità, pone i nostri ricercatori tra i migliori a livello mondiale. 

    Quale che sia il motivo, è certo che oggi il sistema della ricerca clinica si ritrova a fronteggiare un danno difficilmente calcolabile al momento, ma certamente enorme. “L’Italia è già fuori dagli studi che partiranno a Aprile-Maggio e le cui pratiche di sottomissione iniziano ora” sottolinea Zibellini.

    Ieri sera, però, AIFA ha pubblicato un documento con una proposta operativa di gestione temporanea delle sperimentazioni secondo la 536/2014. Questa prevede che si possa procedere con una domanda parziale di autorizzazione della sperimentazione, la cosidetta parte I, quella centralizzata europea per intenderci, per poi completare la parte II, di cui sono responsabili i singoli stati membri, in una modalità provvisoria.

    In assenza dei decreti attuativi, infatti, uno degli aspetti chiave della mancata riforma italiana rimane la riorganizzazione dei Comitati Etici. Per ovviare a questo, la proposta temporanea di AIFA prevede che "Il comitato etico incaricato della valutazione della sperimentazione in qualità di comitato etico unico nazionale viene identificato tra quelli dei centri NON coinvolti dalla sperimentazione stessa.Quindi, la proposta di studio dovrebbe essere valutata da un Comitato Etico “tra quelli attualmente esistenti, disponibili a valutare su base volontaria le domande di sperimentazione presentate nel portale europeo.

    Quali siano questi Comitati Etici non è però dato saperlo, poiché nel comunicato si rimanda ad una lista non ancora disponibile e che presumibilmente apparirà nei prossimi giorni in questa pagina. Inoltre, in assenza di esplicite indicazioni da parte dello sponsor (responsabile dello studio clinico) il Comitato Etico per la valutazione verrà scelto direttamente da AIFA “mediante l’applicazione di un algoritmo che consente una adeguata rotazione rispetto ai centri di sperimentazione e comitati etici già coinvolti in precedenza e previa comunicazione al Centro di Coordinamento dei comitati etici, con particolare riferimento ad eventuali sperimentazioni di maggiore sensibilità per indicazione o complessità”.

    Nella definizione e scelta del Comitato Etico ricade anche il problema della tariffa da corrispondere che, da ieri 31 gennaio 2022, dovrebbe essere unica per tutto il territorio nazionale. Anche in questo caso AIFA propone di utilizzare un doppio canale per la gestione del dossier (parte I e II). Per quanto riguarda la tariffa unica in Italia si propone: "Il promotore può tuttavia procedere al pagamento in soluzione unica anche della quota relativa al comitato etico incaricato di valutare la domanda di sperimentazione in base alle tariffe attualmente in vigore per ciascun Comitato etico, nei casi in cui il Comitato etico sia già individuato. Nel caso in cui il Comitato etico non sia stato ancora identificato, la quota relativa al Comitato etico potrà essere integrata con una seconda rata di pagamento, la cui attestazione potrà essere caricata nel portale europeo in fase di validazione della domanda o, in alternativa, come risposta alle considerazioni durante la fase di valutazione."

    È, purtroppo, abbastanza evidente come tutto questo sistema di gestione provvisoria sia piuttosto complesso, con un alto grado di incertezza legato alla “volontarietà” dei singoli CE regionali, alla distribuzione dei carichi di lavoro e al successivo trasferimento delle pratiche dal CE provvisorio al CE competente una volta che il sistema andrà (quando?) a regime. 

    Su tutto ciò aleggia il rammarico per una situazione che si sarebbe potuta facilmente evitare e di cui non sono ancora chiari i contorni nel futuro poiché anche ieri è stato ricordato come il precedente riordino dei Comitati Etici in Italia richiese circa due anni per la completa attuazione. Un fosco scenario che oggi appare insostenibile.

  • “Nell’ambito della ricerca clinica è sempre più forte l’esigenza di modelli di conduzione degli studi che abbinino alla qualità una maggiore flessibilità procedurale, più prossimità ai pazienti e possibilmente minori costi”

    dichiara Gualberto Gussoni, direttore del Centro Studi FADOI, durante il suo intervento al webinar Digital Medicine per i farmacisti Ospedalieri “per questo, si parla sempre più spesso di studi decentralizzati che utilizzano ampiamente il digitale e che si rendono anche più adatti allo sviluppo delle nuove terapie digitali”.

    Gli studi clinici decentralizzati (DCT — Decentralized Clinical Trials) sfruttano l’innovazione digitale per spostare sempre di più le attività della ricerca clinica verso il domicilio del paziente o in strutture a esso più prossime. Il paziente, in questa tipologia di studi, può ricevere i farmaci o i dispositivi medici sperimentali direttamente a casa ed essere monitorato attraverso gli strumenti di telemedicina, diminuendo o addirittura eliminando la necessità di spostarsi verso il centro di ricerca.

    Nel 2021, la Fondazione Smith Kline e la Società Scientifica di Medicina Interna FADOI hanno promosso il progetto Decentralized Clinical Trials per l’Italia #DCTxITA per fare un’analisi sull’impiego degli studi clinici decentralizzati in Italia. Il progetto ha coinvolto 70 esperti e ha portato alla produzione dell’importante contributo editoriale Implementazione degli studi clinici decentralizzati in Italia: perché e come? pubblicato nel numero speciale 1/2022 della rivista Tendenze Nuove.

    Nel documento viene fatta una panoramica sull’inquadramento regolatorio dei DCT in Italia, sugli aspetti positivi e quelli critici e sulle esperienze pratiche dal mondo della ricerca clinica.

    Studi clinici decentralizzati e quadro normativo in Italia

    Quello che emerge è che, come spesso accade, la giurisprudenza non lavora di pari passo con l’innovazione tecnologica e, seppur in Italia sia possibile svolgere studi clinici decentralizzati, non esite un regolamento specifico. Si fa, quindi, riferimento a una combinazione di normative di più ampio respiro come il Regolamento Europeo 536/2014 sulla sperimentazione clinica dei medicinali, il Regolamento Europeo 679/2016 sul GDPR e il Regolamento Europeo 745/2017 sui dispositivi medici.

    “In questa condizione di relativa incertezza regolatoria è raccomandabile che i protocolli di studio e le istanze autorizzative per l’Autorità Competente e i Comitati Etici descrivano in maniera adeguata le caratteristiche operative dello studio per quanto riguarda le modalità applicate in maniera decentralizzata” spiega Gussoni. “Sono di fondamentale importanza soprattutto la definizione dell’interconnessione tra i vari attori degli studi decentralizzati come l’ente promotore, il centro clinico, i provider dei servizi esterni (es. trasporto) e i pazienti, e quella dei profili di responsabilità”.

    Aspetti positivi e critici

    Secondo le indagini svolte dall’Osservatorio Life Science del Politecnico di Milano su un campione di 38 aziende che hanno esperienza di studi clinici decentralizzati, i maggiori benefici riguardano la possibilità di:

    • coinvolgere tipologie più varie di pazienti e in un numero più ampio,
    • la capacità di raccogliere una più vasta quantità di dati,
    • la riduzione dei tempi di sperimentazione e l’aumento dell’aderenza dei pazienti allo studio.

    Importanti benefici che però sono controbilanciati da altrettanti aspetti critici come

    • la richiesta di competenze digitali specifiche
    • una gestione complessa degli aspetti legati alla privacy e alla sicurezza dei dati,
    • la riduzione non così cospicua dei costi di ricerca e
    • la compromissione del rapporto medico-paziente
    • la mancanza del confronto tra pazienti.

    “ll successo degli studi clinici decentralizzati dipenderà da una serie di fattori. Dovranno essere economicamente sostenibili per il paziente, il Sistema Sanitario Nazionale e le industrie coinvolte e dovranno essere normati in modo rigoroso ma non penalizzante. Inoltre, sarà importante promuovere l’alfabetizzazione digitale tra i cittadini e il personale sanitario e trovare il giusto equilibrio tra gli aspetti organizzativi e la dimensione sociale e relazionale dei pazienti” conclude Gussoni.

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