• Grazie all’AI potrebbe essere possibile modificare le soglie di inclusione relativi ad alcuni criteri di eleggibilità senza aumentare il rischio di tossicità per i partecipanti

  • Il protocollo giunto sul tavolo dell’AIFA prevede l’impiego di anakinra ed emapalumab (entrambi prodotti da SOBI) per il trattamento delle complicanze di COVID-19.

  • Prof. Gino Gerosa (Padova): “L’obiettivo è migliorare l’attendibilità dei dati, facendo in modo che quanti sono arruolati negli studi clinici randomizzati abbiano caratteristiche sovrapponibili a quelle dei pazienti nel mondo reale”

     

    Il progresso nel campo del sapere e la crescente innovazione tecnologica stanno guidando l’evoluzione in molti settori della medicina, fra cui quello della chirurgia cardiovascolare. Tuttavia, la costruzione dell’edifico della conoscenza - e, più dettagliatamente, della pratica clinica - richiede attenzione a quei dettagli che, se trascurati, possono comportare errori tali da far crollare anche i piloni all’apparenza più solidi; questi ultimi sono costituiti dagli studi clinici i quali devono esser pensati e condotti tendendo conto di numerose varianti. Una delle più semplici è la differenza di genere: l’attenzione per le diverse modalità con cui una malattia si presenta nei due sessi o i differenti esiti di un dato intervento nella popolazione maschile e femminile hanno trascinato sotto i riflettori la medicina di genere.

    LA MALATTIA CORONARICA NEL SESSO MASCHILE E FEMMINILE

    Nel gioco di luci e ombre che ciò comporta è emerso un dato sconfortante in merito al differente tasso di arruolamento delle donne nei trial clinici. Pertanto, il primo studio di cardiochirurgia interamente dedicato alle donne vuole costituire una sorta di “esperimento pilota”, essendo destinato al miglioramento non solo della conoscenza nella realizzazione degli interventi di bypass aorto-coronarico (CABG), ma anche all’indagine delle caratteristiche di una popolazione di studio - quella femminile - che attualmente costituisce appena una modesta frazione del campione arruolato. Si tratta dello studio ROMA-Women, che riprende il quesito dello studio ROMA rivolto a capire se innesti arteriosi multipli costituiscano una soluzione migliore rispetto al singolo innesto nei pazienti sottoposti a bypass aorto-coronarico non urgente. La differenza sostanziale è che ROMA-Women si rivolge solo a pazienti di sesso femminile.

    Guido Gerosa“Nelle intenzioni generali gli studi prospettici randomizzati dovrebbero ridurre al minimo la probabilità di bias, cioè di distorsioni”, afferma Gino Gerosa, Professore Ordinario di Cardiochirurgia e Direttore del Centro di Cardiochirurgia Gallucci presso l’Azienda Universitario-Ospedaliera di Padova. “Tuttavia, le popolazioni di individui in essi arruolate rispondono a specifici e dettagliati criteri di inclusione che finiscono per ‘selezionarle’, allontanandole da quelle del mondo reale, solitamente fotografate dai Registri di patologia nei quali è raccolta tutta la casistica di popolazione giunta all’osservazione ospedaliera e sottoposta a una particolare procedura”.

    Per capire meglio il significato di ROMA-Women occorre riflettere su un dato ormai condiviso: quello dell’aumento di mortalità nelle pazienti di sesso femminile dopo infarto acuto del miocardio. “Le donne in età fertile sono protette dalle conseguenze della cardiopatia ischemica in forza del loro assetto ormonale”, prosegue Gerosa. “Purtroppo, dopo la menopausa tale effetto viene meno e la malattia ischemica finisce con l’avere esiti peggiorativi nelle donne rispetto agli uomini dal momento che il lume delle loro coronarie ha un diametro inferiore rispetto a quello dell’uomo e si osservano alterazioni del microcircolo che contribuiscono a indurre l’insorgenza di complicanze post-operatorie in grado di aumentare i tassi di mortalità e comorbidità in misura maggiore rispetto a quanto accade nel sesso maschile”. 

    Proprio da tali medesime differenze scaturisce anche la riflessione di Mario Guadino nel suo articolo di presentazione del trial ROMA-Women sulla rivista Circulation: le conclusioni di un lavoro apparso sulla rivista JAMA Surgery a cui ha partecipato lo stesso Gaudino confermano che su oltre 1,2 milioni di pazienti le donne sottoposte a CABG hanno un rischio di mortalità (e morbilità) operativa decisamente più elevato rispetto agli uomini e tale disparità non è minimamente cambiata nell’ultimo decennio, rendendo necessaria una più attenta revisione dei criteri diagnostici e operativi basati non solo sulle caratteristiche del campione maschile ma anche femminile. 

    UNO STUDIO CLINICO ATTENTO ALLE DIVERSITÀ

    In termini di evoluzione patologica, la malattia coronarica differisce nelle donne rispetto agli uomini essendo caratterizzata da disfunzioni microvascolari e vasospasmi coronarici che, aumentando il rischio di complicanze operatorie, non rendono ottimale l’apposizione di un bypass aorto-coronarico. 

    Il trial clinico ROMA era nato con l’idea di rispondere a uno specifico quesito clinico ma lo squilibrio tra i due sessi nelle fasi di arruolamento - attualmente la percentuale di donne inserite non supera il 15% e non è sufficiente a fornire dati significativi sul rapporto rischio/beneficio della procedura - ha condotto i ricercatori a dubitare che le risposte ottenute al termine delle analisi avrebbero potuto essere sovrapponibili per entrambi i sessi. Da qui è nata l’idea di uno studio tutto al femminile, orientato a ottenere una risposta decisiva nelle donne. 

    Sfruttando le infrastrutture già in uso per lo studio ROMA i ricercatori puntano così a sviluppare una piattaforma di analisi mirata che testi con rigore l’ipotesi di partenza anche tra le donne: l’organizzazione dei database, i moduli di registrazione dei pazienti e quelli per il consenso informato, il sistema di randomizzazione e le risorse utili per la formazione dei presidi coinvolti, finanche le approvazioni normative, i procedimenti del Comitato Centrale di Revisione degli Eventi e la rete di siti partecipanti saranno identici a quelli dello studio ROMA.

    ROMA-Women includerà le donne già arruolate nello studio ROMA, riducendo così le tempistiche del progetto, ma saranno impiegate strategie di arruolamento personalizzate per le donne e sistemi di analisi volti a comprendere le ragioni per cui alcuni centri arruolano più donne rispetto ad altri. “Spesso queste differenze dipendono dai reclutatori”, aggiunge Gerosa. “Bisogna porre la problematica al paziente nel modo giusto, perché questi possa comprendere le potenzialità dell’indagine proposta. La presenza di un nucleo di ricercatori esterni che rivaluti le procedure di arruolamento nei singoli centri sarà utile per fare luce anche sulle differenze di approccio ai pazienti”. Tutto ciò allo scopo di ridurre le eventuali distorsioni in fase di arruolamento. 

    ATTENZIONE ALLE MODALITÀ DI RECLUTAMENTO 

    A tal proposito, un interessante precedente storico legato ai potenziali bias che si possono generare negli studi clinici ha visto protagonista proprio la cardiologia: si tratta di STICH (Surgical Treatment of Ischemic Heart Failure) uno dei maggiori studi chirurgici della medicina moderna. “Con questo trial prospettico randomizzato si volevano offrire risposte sul trattamento dei pazienti con scompenso cardiaco su base ischemica, ma si finì col giungere a conclusioni diametralmente opposte rispetto alla pratica comune”, spiega Gerosa. “Lo scopo del trial STICH era confrontare i pazienti sottoposti a bypass aorto-coronarico con quelli in cui tale procedura era accompagnata da un intervento di rimodellamento del ventricolo sinistro. Ci si aspettava che questa seconda casistica producesse esiti migliori, invece la differenza tra le due popolazioni non risultò statisticamente significativa e un’analisi più dettagliata ha confermato come ciò sia dipeso in parte dall’esperienza dei chirurgi che praticavano l’intervento di rimodellamento ventricolare, in parte dalla selezione dei pazienti arruolati; infatti, quando era chiaro che avrebbero sicuramente tratto beneficio dalla tecnica di rimodellamento ventricolare, essi non venivano inseriti nel trial per non correre il rischio di vederli finire nel braccio di controllo, in cui tale pratica non veniva eseguita”. Ecco dunque che, in questo caso, in maniera più o meno involontaria, la distorsione dei risultati è stata prodotta proprio dagli stessi sperimentatori. 

    SMUSSARE GLI ANGOLI

    Ma come mai nel 2023 una delle fragilità più evidenti in fase di progettazione e conduzione di uno studio clinico sembra essere ancora la differenza tra genere maschile e femminile?

    “Nonostante in Europa come negli Stati Uniti ci si stia dando da fare per incoraggiare la presenza femminile nei trial clinici, lo squilibrio tra i due sessi rischia di generare ancora dati poco attendibili”

    conclude Gerosa. “Ben venga dunque un trial come ROMA-Women che ha l’obiettivo di limare le differenze e mira a ottenere il reclutamento negli studi clinici randomizzati di pazienti con caratteristiche il più possibile vicine a quelle del mondo reale, prendendo in considerazione tutti i sottogruppi, in maniera tale da applicare i risultati con estrema precisione alla popolazione”. Realizzare studi di costo-efficacia per farmaci e dispositivi medici su popolazioni nel quale a tutte le varianti viene assegnato lo stesso peso statistico sarà dunque fondamentale per portare ai malati - di tutti i sessi - soluzioni personalizzate, efficaci, sicure ed economicamente sostenibili per i servizi sanitari dei diversi Paesi. 

  • Ci siamo. Manca ormai solo una settimana all’applicazione effettiva del nuovo Regolamento Europeo sulla sperimentazione clinica (anche noto come 536/2014). Dalle ore 9 del prossimo 31 gennaio infatti il portale europeo centralizzato sarà online e accessibile a tutti, sia professionisti della ricerca che il pubblico generico. Il CTIS, acronimo di Clinical Trial Information System, sarà lo snodo centrale di questa rivoluzione della ricerca clinica europea un “punto di accesso unico per gli sponsor e le autorità di regolamentazione per la presentazione e la valutazione dei dati delle sperimentazioni cliniche", ha spiegato oggi il direttore esecutivo dell'EMA, Emer Cooke(nella foto).emercooke portrait 0

    Questa modalità rappresenta una svolta per la ricerca clinica in Europa ed è la rappresentazione di una transizione operativa iniziata nel lontano 2014, con l’approvazione del già citato regolamento. Il cambio più importante è dal punto di vista procedurale, infatti i promotori delle sperimentazioni cliniche"potranno richiedere l'approvazione normativa per eseguire sperimentazioni cliniche in un massimo di 30 Paesi EU/Spazio economico europeo tramite un'unica domanda. E questo accelererà l'accesso dei pazienti a farmaci nuovi e innovativi", ha fatto notare Karl Broich, in rappresentanza dei responsabili delle agenzie del farmaco nazionali dell'area.

    Un’unica domanda per tutta Europa, uno scenario quasi idilliaco per chi, fino ad oggi, ha dovuto fare i conti con le diverse procedure richieste dalle specifiche normative locali di ogni stato membro. I potenziali vantaggi sono incredibili, su tutti: processi veloci e semplificati con tempistiche definite e certe.

    Quello che può sembrare un miglioramento esclusivamente procedurale riflette un potenziale enorme per l’avanzamento delle conoscenze scientifiche in ambito biomedico. 

    "Il sistema faciliterà le collaborazioni e un ampio scambio di dati tra i vari attori, così da aumentare la nostra conoscenza sui nuovi trattamenti medici e di questo beneficeranno sia la ricerca che la salute pubblica. Sarà anche più facile condurre ampi studi multinazionali per affrontare questioni sanitarie chiave, come il cancro. Abbiamo bisogno di trial robusti per assicurare solidi risultati statisticamente validi che aumentino l'efficacia della ricerca clinica in Europa nel portare farmaci migliori ai pazienti" ha sottolineato Cooke evidenziando come “le chiavi per il futuro sono trasparenza e lavoro collettivo”.

    La volontà dell’Europa di diventare un punto di riferimento per la ricerca clinica a livello mondiale si manifesta anche con la recente pubblicazione del programma ACT EU (Accelerating Clinical Trials in EU) in cui sono state definite dieci azioni prioritarie da intraprendere per il biennio 2022-23. "E' cruciale per questo lavoro, per rafforzare l'ambiente dei clinical trial in Europa, è un'enorme opportunità di mettere il pacchetto Europa sulla mappa come un ambiente di ricerca "unico", leader a livello mondiale" commenta Cooke.

    Il prossimo lunedì sarà, quindi, una data storica ma solo l’inizio di una lunga fase di transizione, inevitabile nel caso di un sistema così complesso "Un aspetto che viene sottovalutato è la complessità di combinare tutti gli approcci nazionali esistenti ed essere sicuri che ci sia una coerenza nell'approccio unico che useremo” precisa Cooke "La transizione al nuovo sistema sarà graduale. Dal 31 gennaio 2022 gli sponsor potranno già decidere di utilizzare CTIS per le domande di clinical trial in UE, ma non saranno obbligati a farlo”. Infatti le domande per gli studi clinici presentate al di fuori del nuovo sistema fino al 31 gennaio 2023 saranno esaminate e valutate secondo la vecchia procedura (quella attualmente attiva). Quindi, dal 1 Febbraio 2023 tutte le domande dovranno passare per il CTIS ed entro il 31 gennaio 2025 tutte le sperimentazioni ancora in corso dovranno in ogni caso essere trasferite sul CTIS e disciplinate dal nuovo regolamento.

    In tutto ciò la posizione italiana rimane comunque discutibile poichè in forte ritardo rispetto alle attività già svolte dagli altri stati membri. Nonostante la disponibilità di questo periodo di adattamento al nuovo sistema, paesi come Spagna, Francia, Germania, ecc. hanno già da anni adeguato il proprio sistema normativo nazionale per essere immediatamente operativi alla partenza. In Italia invece affrontiamo un ritardo enorme e, come abbiamo già discusso in questo articolo, non avremo la possibilità, neanche volendo, di utilizzare le nuove modalità di gestione unificata della ricerca. In attesa quindi che il governo recepisca i dettami del regolamento 536/2014 e ne definisca le specifiche modalità operative attraverso la pubblicazione dei decreti attuativi, c’è da chiedersi quanti danni alla ricerca clinica italiana apporterà questo ritardo e in che modo potremo beneficiare di una nuova era di collaborazione europea senza avere la possibilità di parteciparvi? 

    È una domanda fondamentale, sopratutto dal punto di vista dei pazienti che spesso non hanno a disposizione i tempi che la politica si assegna.

© 2024 Sperimentazionicliniche.it | All Rights Reserved | Testata in attesa di registrazione presso il tribunale di Roma | Powered by VicisDesign